L’elemento che contraddistingue il setting musicoterapico dagli altri setting terapeutici è il contesto non verbale.
Ciò non significa l’esclusione totale della presenza della parola, essa è presente alla pari di altri codici, assumendo maggior rilievo nel significante e nel suono, piuttosto che nel significato vero e proprio.
Dalla definizione di Benenzon, il contesto non verbale è dato dall’interazione dinamica di infiniti elementi (codici, linguaggi, o messaggi) quali quello sonoro, musicale, gestuale, corporeo, del movimento, prossimale, verbale, della mimica, dell’odore, del colore, dello spazio, vibrazionale, gravitazionale, della temperatura, del gusto e altri ancora che influenzano e stimolano il sistema percettivo globale dell’essere umano e gli permettono di riconoscere l’ambiente che lo circonda e l’altro essere umano con cui è portato a mettersi in comunicazione.
Il setting in Musicoterapia occupa una parte importantissima. Si è notato che modificandolo avvengono cambiamenti di condotta e di comportamento nei pazienti.
Inoltre è parte di quelle pratiche con le quali il musicoterapista prepara la seduta, attua una strategia, pensa alla prima consegna (che può essere l’unica e la più forte) che accoglierà l’entrata del paziente.
Ci sono alcune regole che andrebbero rispettare per creare un setting ideale.
E’ anche vero che è difficile operare in contesti dove si creino presupposti per rispettare tali requisiti.
Il setting dovrebbe essere il più isolato possibile da qualsiasi interferenza sonora proveniente dall’esterno.
Ciò presuppone implicitamente anche l’isolamento dei suoni prodotti all’interno dello studio affinchè non siano udibili all’esterno.
Questo accorgimento permette di lavorare in assoluta libertà.
Tuttavia se, malgrado l’isolamento, pervengono suoni esterni al setting, essi devono essere riconosciuti ed inglobati nel contesto della seduta.
L’arredamento deve essere essenziale, limitato agli armadi che contengono gli strumenti, senza decorazioni per non sovrastimolare o sviare l’attenzione del paziente, con colori tenui o neutri.
Il pavimento in legno sarebbe l’ideale per fare in modo che venga trasmessa la maggior quantità di vibrazioni.
Sono parte del setting anche coloro che partecipano alla relazione (terapista e paziente) e il gruppo operativo di strumenti utilizzati nella seduta. Introduciamo così altri due elementi importanti: il tempo e lo spazio.
La sala deve avere dimensioni “giuste”. Lo spazio troppo grande provoca dispersione e favorisce l’isolamento, lo spazio troppo piccolo impedisce il movimento corporeo, elemento importantissmo nel contesto non verbale. In entrambi i casi diminuiscono le possibilità che si crei lo spazio vincolare (spazio creativo), spazio che si forma solo in funzione delle energie emesse da entrambi.
Non esiste possibilità di presenza sonora senza il trascorrere del tempo. Non esiste possibilità di presenza terapeutica senza un processo che si svolga in un tempo determinato e che segni una storia.
In un setting di Musicoterapia si possono distinguere tre tempi caratteristici:
Quest’ultimo integra gli altri due e tutti e tre simultaneamente determinano la dinamica del processo primario e secondario che Fiorini chiama “transtemporalità”: si tratta di un tempo che fa parte del processo terziario e ha origine solo all’interno di uno spazio creativo o vincolare.
Un setting può essere creato anche in un ambiente naturale, aperto.
Un prato, la riva di un fiume, una vallata offrono infinite sonorità che permettono di lavorare per imitazione o creazione, senza alcun limite. Anche il movimento corporeo è maggiormente stimolato.
Un altro setting molto usato è quello acquatico. Il mezzo di terapia acquatica ripropone l’ambiente fetale. L’acqua-liquido amniotico favorisce l’alternativa di un contesto pre-verbale e non verbale.